sabato 19 settembre 2015

Il Parroco sorride ...

Il paese è perduto! … Il giovane parroco ne aveva già avuto intuizione quando il Vescovo gli aveva detto: «Prendete tutto il vostro coraggio!».
Tutto il suo coraggio egli lo ha preso con tutte e due le mani, e ha voluto sapere. Un uomo degno di questo nome deve innanzi tutto aprire bene gli occhi e andar diritto alla verità, qualunque cosa sia, con tutta l’anima.
Perché è perduto,  quel grande e bel villaggio? Perché?
 Egli si è recato a visitare tutti. E dappertutto fu ricevuto bene … come «uomo» … Quanto poi a «parroco» la cosa era diversa!
E’ andato al castello e madama gli ha parlato presso a poco in questi termini: «ecco io vi do cento franchi … ma poi lasciatemi in pace».
Si è recato nelle quattro masserie. In una, il capo di casa stava ricevendo del letame d’ingrasso, e sembrava poco disposto a parlare d’altra cosa. Nell’altra l’uomo gli ha detto:  «mia moglie mi ha ripetuto, va a messa nelle feste principali …». Nelle due ultime non ha trovato che donne, le quali parvero più stupite che contente. La più vecchia, anzi, ha mormorato fra i denti: «ma non ci sono mica moribondi qui …».
E il parroco ha fatto ritorno incontrando passanti, ascoltando gli uccelli, tirandosi in disparte al passaggio  delle carrette dei fornitori. E in mezzo a quel contorno egli provò l’impressione di un isolamento spaventoso, fatto dall’indifferenza di quella gente, dal disprezzo, e talora dall’odio.
Quando egli seppe bene di che si trattava ebbe un serio dibattito con se stesso. Tutta intera la sua natura gli gridava: Vattene! In questo buco, la tua qualità, la tua delicatezza, il tuo ideale ti si rivoltano contro. Qui ci vuole un uomo di pasta frolla, non di carne viva come la tua. Ma il suo soprannaturale rispondeva: se te ne vai, non sei che un vile.
Ed egli rimase. Non però imbronciato né colle braccia conserte. Trovò, anzi, nella stessa disperazione del suo isolamento un’esasperazione di coraggio. E per primo cosa doveva fare?
Vide che il più essenziale, senza di che nulla avrebbe potuto più attecchire, era di ristabilire il contatto col suo popolo. Egli si sentiva uno straniero. Bisognava diventare un amico.
Scelse il punto vulnerabile della corazza che cingeva il villaggio; fece una festa di bambini, ebbe successo; fece tenere una conferenza agli uomini sulla mutualità.
A messa? Ancora nessuno. Quasi nulla da sperare dalle giovinette presenti. Tuttavia, a un certo matrimonio, egli seppe condurre le cose così bene, parlò tanto cordialmente, che lo sposo lo invitò a casa nel pomeriggio.
Ma all’indomani, a un funerale, gli uomini rimangono all’aperto, sotto una pioggia dirotta … Egli finge di non vedere.
Nel paese si comincia a dire:  è un bravo ragazzo, intelligente e niente superbo. peccato che sia prete.
Ora egli ha tre chierichetti per servir messa e qualche donna che l’ascolta.
Un giorno ha condotto a Lourdes il pretore, col pretesto di un biglietto di ribasso in ferrovia. Il pretore è rimasto sbalordito, e al caffè non finisce più di raccontare delle processioni infinite, e di tutto ciò che ha veduto. E si discute con calore contro e pro i miracoli. E così avviene ogni giorno.
Il parroco vive come un cacciatore, in attesa di una bella occasione.
Oggi è un vecchio comunista che egli invita a pranzo, domani è un dono di battesimo, un soldato che raccomanda, una festa del paese ricordata in chiesa, proiezioni, giornali, e che so io.
Tutto è pretesto quando si vuol far del bene.
E il parroco sorride quando taluno che ha il pessimo uso di scoraggiare gli ripete in aria di trionfo: «a che giova tutto quello che lei fa?».
Sorride come sorriderebbe un agricoltore, se d’autunno un cittadino ignaro delle cose dei campi, gli dicesse: «A che serve gettare al vento il vostro fragile seme? I vostri grani se ne vanno dispersi nella nera massa della terra. Verranno le piogge, il freddo, l’inverno!».
Il parroco tuttavia sorride, e guarda con ostinazione sulla strada, se non vi sia un saluto da fare per primo a un pretenzioso che passa, se non vi sia un bambino moccioso da accarezzare, una sigaretta da dare a quel tale che, assunto ieri come bifolco in una delle masserie, mostra una grande voglia balorda di insultarlo.
Pierre l’Ermite[1]









[1] Edmond Loutil (1863-1959) era un sacerdote della diocesi di Parigi. Con lo pseudonimo di Pietro l’eremita è stato giornalista e scrittore di grande successo

Nessun commento:

Posta un commento