Il paese è perduto! … Il giovane parroco ne aveva
già avuto intuizione quando il Vescovo gli aveva detto: «Prendete tutto il
vostro coraggio!».
Tutto il suo coraggio egli lo ha preso con tutte e
due le mani, e ha voluto sapere. Un uomo degno di questo nome deve innanzi
tutto aprire bene gli occhi e andar diritto alla verità, qualunque cosa sia,
con tutta l’anima.
Perché è perduto,
quel grande e bel villaggio? Perché?
Egli si è
recato a visitare tutti. E dappertutto fu ricevuto bene … come «uomo» … Quanto
poi a «parroco» la cosa era diversa!
E’ andato al castello e madama gli ha parlato presso a poco in questi termini: «ecco io vi
do cento franchi … ma poi lasciatemi in pace».
Si è recato nelle quattro masserie. In una, il capo
di casa stava ricevendo del letame d’ingrasso, e sembrava poco disposto a
parlare d’altra cosa. Nell’altra l’uomo gli ha detto: «mia moglie mi ha ripetuto, va a messa nelle
feste principali …». Nelle due ultime non ha trovato che donne, le quali
parvero più stupite che contente. La più vecchia, anzi, ha mormorato fra i
denti: «ma non ci sono mica moribondi qui …».
E il parroco ha fatto ritorno incontrando passanti,
ascoltando gli uccelli, tirandosi in disparte al passaggio delle carrette dei fornitori. E in mezzo a
quel contorno egli provò l’impressione di un isolamento spaventoso, fatto
dall’indifferenza di quella gente, dal disprezzo, e talora dall’odio.
Quando egli seppe bene di che si trattava ebbe un
serio dibattito con se stesso. Tutta intera la sua natura gli gridava: Vattene!
In questo buco, la tua qualità, la tua delicatezza, il tuo ideale ti si
rivoltano contro. Qui ci vuole un uomo di pasta frolla, non di carne viva come
la tua. Ma il suo soprannaturale rispondeva: se te ne vai, non sei che un vile.
Ed egli rimase. Non però imbronciato né colle
braccia conserte. Trovò, anzi, nella stessa disperazione del suo isolamento
un’esasperazione di coraggio. E per primo cosa doveva fare?
Vide che il più essenziale, senza di che nulla
avrebbe potuto più attecchire, era di ristabilire il contatto col suo popolo.
Egli si sentiva uno straniero. Bisognava diventare un amico.
Scelse il punto vulnerabile della corazza che
cingeva il villaggio; fece una festa di bambini, ebbe successo; fece tenere una
conferenza agli uomini sulla mutualità.
A messa? Ancora nessuno. Quasi nulla da sperare
dalle giovinette presenti. Tuttavia, a un certo matrimonio, egli seppe condurre
le cose così bene, parlò tanto cordialmente, che lo sposo lo invitò a casa nel
pomeriggio.
Ma all’indomani, a un funerale, gli uomini rimangono
all’aperto, sotto una pioggia dirotta … Egli finge di non vedere.
Nel paese si comincia a dire: è un bravo ragazzo, intelligente e niente
superbo. peccato che sia prete.
Ora egli ha tre chierichetti per servir messa e
qualche donna che l’ascolta.
Un giorno ha condotto a Lourdes il pretore, col
pretesto di un biglietto di ribasso in ferrovia. Il pretore è rimasto
sbalordito, e al caffè non finisce più di raccontare delle processioni
infinite, e di tutto ciò che ha veduto. E si discute con calore contro e pro i
miracoli. E così avviene ogni giorno.
Il parroco vive come un cacciatore, in attesa di una
bella occasione.
Oggi è un vecchio comunista che egli invita a
pranzo, domani è un dono di battesimo, un soldato che raccomanda, una festa del
paese ricordata in chiesa, proiezioni, giornali, e che so io.
Tutto è pretesto quando si vuol far del bene.
E il parroco sorride quando taluno che ha il pessimo
uso di scoraggiare gli ripete in aria di trionfo: «a che giova tutto quello che
lei fa?».
Sorride come sorriderebbe un agricoltore, se
d’autunno un cittadino ignaro delle cose dei campi, gli dicesse: «A che serve
gettare al vento il vostro fragile seme? I vostri grani se ne vanno dispersi
nella nera massa della terra. Verranno le piogge, il freddo, l’inverno!».
Il parroco tuttavia sorride, e guarda con
ostinazione sulla strada, se non vi sia un saluto da fare per primo a un
pretenzioso che passa, se non vi sia un bambino moccioso da accarezzare, una
sigaretta da dare a quel tale che, assunto ieri come bifolco in una delle
masserie, mostra una grande voglia balorda di insultarlo.
Pierre l’Ermite[1]
[1] Edmond
Loutil (1863-1959) era un sacerdote della diocesi di Parigi. Con lo pseudonimo
di Pietro l’eremita è stato giornalista e scrittore di grande successo
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